L’Unione europea e l’intelligenza artificiale tra progresso tecnico, democrazia e geopolitica

In Europa non vi è ancora una profonda, concettuale, riflessione sui rischi derivanti dall’introduzione di queste tecnologie con cui dovremo convivere.

A giugno 2023 il Parlamento europeo ha dato l’ok al mandato negoziale per giungere alla prima regolamentazione sull’Intelligenza Artificiale (IA), su scala mondiale. È sotto gli occhi di tutti la questione irrisolta del legame tra IA, politica internazionale e politiche pubbliche europee. Se la dimensione europea del fenomeno dell’applicazione delle tecnologie di quarta generazione – di cui l’IA è solo una tra altre nonché la più sviluppata – sta conoscendo un’espansione miracolosa, riflessa peraltro anche nell’attenzione del legislatore, l’Unione europea sembra completamente esclusa da qualsivoglia seria illustrazione geopolitica del tema, incentrata solo sul ruolo dei grandi attori dell’IA: gli Stati Uniti, la Cina o la Russia.

Ma questa è solo la conseguenza del fatto che in Europa non vi sia una profonda, concettuale, riflessione sui rischi derivanti dall’introduzione di queste tecnologie con cui dovremo convivere. Nel campo delle tecnologie sono proprio i rischi, ovvero la consapevolezza della loro esistenza, a rendere solido il protagonismo di un attore – sia esso Stato, Unione, attore non statuale, individuo – sulla scena internazionale.  

Da Scharre e Horowitz (che si sono concentrati sugli sviluppi militari dell’IA) a Scott, Heumann e Lorenz (tra i pochi studiosi focalizzati sul ruolo dell’IA nella politica estera) a Spiegeleire, Maas e Sweijs (che hanno discusso delle implicazioni strategiche dell’IA per i piccoli e medi fornitori), o ancora Bughin, Manyika e Woetzel (che hanno studiato l’automazione nel mercato del lavoro), gli autori che hanno discusso del tema sono diversi. Se non si può altresì non menzionare Akin, King, Keohane e Verba, non è tuttavia questa la sede di una discussione della letteratura, ma ne costituisce un chiaro riferimento.

  1. Dal progresso tecnico a quello sociopolitico

Sembra inverosimile, ma solo pochi anni fa parlare di intelligenza artificiale nelle arene del potere poteva apparire pura fantascienza! Così, oltre al tema di per sé di recente trattazione, quella che viviamo è solo un aspetto di una più ampia trasformazione epocale, indotta dal progresso tecnologico, e sintetizzabile con il passaggio a un’era post-industriale.

Tradurre il progresso tecnico in progresso sociopolitico, cosa significherà? Rendere ancor più confusa e destabilizzata la trasformazione democratica (il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa)? Se il regime influenza notevolmente l’azione degli attori sulla sfera politica internazionale, come può l’UE da un lato appropriarsi di un maggior potere immateriale e dall’altro non lasciarsi compromettere dal potenziale distruttivo dell’IA?  La dematerializzazione del potere ha diverse forme: il passaggio dall’atomo al bit inquina anche le questioni sociali, economiche, istituzionali della vita umana, e perciò anche le politiche (pubbliche) estere.

Come affermò l’ambasciatore dell’UE all’ONU nel febbraio 2019, «nell’UE l’IA è da considerarsi un tema di importanza strategica per il nostro futuro. [… ] Chi guiderà la rivoluzione dell’IA […] deterrà un vantaggio decisivo». Quello stesso anno, il Parlamento europeo delineò i principi generali riguardanti lo sviluppo dell’IA. La serie di eventi appena esposti ha focalizzato l’attenzione sull’argomento, dando l’avvio ai primi passi per la costruzione dell’odierno Atto sull’Intelligenza artificiale. Il via alla “corsa” all’IA rende evidente che l’innovazione tecnologica oltrepassa la sua regolamentazione all’interno dell’Unione.

  • I rischi, anzi, la consapevolezza della loro esistenza

Per imporsi dinanzi agli altri attori globali come attore dell’IA, l’Unione necessita di sviluppare un’azione attuativa, sì congiunta, ma anche progettata su questioni rilevanti. Tuttavia, ancora prima, essa deve considerare i rischi di cui si sta parlando, che vanno ben al di là di adempimenti burocratici: il tema è lungi dall’essere affrontato nella sua interezza.

I primissimi studi sulla diplomazia dell’IA, pubblicati nel 2018, si pongono per obiettivo quello di delineare i punti focali e gli strumenti di una politica estera che prenda in riferimento le nuove tecnologie. Naturalmente, la politica estera non è l’unica dimensione esaustiva per una consapevolezza delle nuove tecnologie, anzi, anche altre politiche pubbliche contribuiscono a rendere sana o malata questa rivoluzione tecnologica. L’Unione europea, su questa linea di interpretazione, al di là degli schemi regolamentativi – peraltro inerenti all’armonizzazione delle pratiche aziendali – dovrà rendere concreta la mitigazione dei rischi delle nuove tecnologie sulle varie dimensioni della vita umana.

Sui rischi multidimensionali, invero, si basa il ruolo geopolitico stesso: tra questi, particolare rilevanza hanno la trasformazione delle questioni di sicurezza, l’impatto sulla democrazia e le questioni etiche (trasformazione sociale e istituzionale) e la trasformazione economica. Non solo perché sono alla base della promozione dei valori dell’UE, o della cooperazione tecnologica e il dialogo internazionale tra i vari attori geopolitici, ma anche perché in quei temi si rischia un’accentuata vulnerabilità, preludio di una perdita di sovranità non solo europea ma anche statuale.

Questi tre rischi sono così sintetizzabili:

  1. Rischi per la sicurezza:
  2. Sistemi d’arma autonomi
  3. Terrorismo basato su comando artificiale
  4. Guerra cibernetica
  5. Rischi per la democrazia:  
  6. Restrizioni dei diritti e delle libertà
  7. Discriminazioni
  8. Rischi per l’economia:  
  9. concentrazione di potere economico
  10. Perturbazione del mercato del lavoro

Il tema del delicato rapporto tra sfera militare e tecnologia è entrato nel dibattito pubblico solo negli ultimi dieci anni – lo era già dapprima a livelli strategici – ed è interessante pensare che i grandi calcolatori, all’origine, furono messi a punto con scopi bellici: in principio, cioè, fu la guerra. Arpanet, l’antenato di internet, nacque infatti con un fine difensivo.

In termini di sicurezza, il tema messo più in risalto come sfida è quella di doversi trovare ad affrontare una crescente corsa agli armamenti IA.  Poiché un regime di non proliferazione di questi ultimi – quantomeno simile a quello di non proliferazione nucleare – al momento non esiste, questo rischio sarà determinante per la sicurezza internazionale. Va aggiunto che, contrariamente alla tecnologia di dispiegamento nucleare, è molto probabile che i sistemi di armi autonome si diffondano velocemente a causa dei costi relativamente bassi e in alcun modo paragonabili alla produzione di armi nucleari. La c.d. guerra asimmetrica, con l’avvento delle nuove tecnologie, diventerà molto più rilevante in termini di equilibrio di potere: attori non statuali, cioè, ben oltre la natura sovranazionale dell’UE, possono rappresentare un rischio per la sicurezza nel lungo periodo.

L’IA ha un profondo rapporto con le libertà civili: la censura, la sorveglianza rappresentano una crescente preoccupazione internazionale e sollevano una serie di questioni etiche. Il rischio principale in questo senso è il danno d’immagine derivante da disfunzioni della democrazia che – come nel caso delle crisi migratorie – restituiscono al resto del mondo un’immagine di un’Unione europea che contraddice i propri valori fondanti con l’emergere di tendenze autoritarie. Perciò, se la democrazia dovesse essere lesa al punto da non risultare nemmeno più in un potere immateriale (soft power), la stessa attrattività di un continente prospero e democratico svanirebbe.

Infine, le trasformazioni economiche sono anch’esse connesse a un elevato rischio di concentrazione del potere economico a danno di un mercato del lavoro perturbato dalla tecnologia come non succedeva dalla seconda rivoluzione industriale. Risulta di fondamentale importanza rammentare che, se dapprima era il governo a finanziare i privati nell’ambito dello sviluppo tecnologico, ora questo rapporto è reso unidirezionale: sono le grandi imprese che finanziano il progresso tecnico. Si potrebbe sintetizzare quanto appena detto con il passaggio da un capitalismo dirigista a uno privato, nell’ambito delle nuove tecnologie.

  • Oltre la regolamentazione, la bassa salienza

Sono questi argomenti che sollevano interrogativi di elevato spessore, ancora omessi dalla stessa agenda istituzionale. Paradossale quindi come l’UE sia in ritardo sul dare importanza ai rischi globali dell’IA, ma primeggi nel dare rilievo alla regolamentazione interna ai temi collegati al proprio mercato. Purtuttavia, se la salienza di questi rischi dovesse aumentare nell’opinione pubblica, resasi consapevole del vuoto di questioni meno regolamentabili, diverrà imperativa la tematizzazione di un regime di non proliferazione, di nuove misure antiterrorismo, della non discriminazione sul mercato del lavoro, del ripensamento di un’etica – tanto nella politica che nelle politiche – a favore e non contro la solidità di pratiche democratiche anziché securitarie. Per promuovere tali questioni, che molto più di questioni sono rischi, sarà necessaria un’accresciuta consapevolezza di questo fenomeno, inteso non da un punto di vista tecnico ma concettuale.

  • Oltre le risposte tecniche, i concetti

È necessario trascendere i dogmi dell’IA, dandone per scontate le applicazioni, ma collocarne gli effetti in un preciso momento storico – il nostro – che, come altre volte nella storia, ha a che fare con un progresso tecnico. A differenza di altri periodi storici quali la prima o la seconda rivoluzioni industriali, questa “rivoluzione” sembra compromettere, oltre al progresso morale – come le altre – anche un progresso di tipo sociale.  Invero, se con l’era industriale vi è stato un progresso sociale, non fosse che nella consapevolezza di una lotta di classe, al giorno d’oggi la tecnologia disaggrega, ben oltre che la classe operaia anche altri interessi, e frammentando le società le rende sempre più controllabili.

Come può, una società senza conflitto, appiattita dalla tecnologia, tutelare i propri interessi nel resto del mondo? Come può mostrarsi democratica e tecnologica? A questi quesiti non si può dare risposta tecnica di alcun tipo – e ciò nemmeno con “terze vie” – e pertanto la sola e unica riflessione che può emergere è invece di carattere concettuale o teorico-filosofica: sarà ripensando la stessa democrazia, che si potrà ripensare il ruolo sulla scena internazionale di un soggetto alquanto peculiare quale l’UE.

Perciò, è sempre lo stesso, pare, il tema a caratterizzare quest’epoca, quantomeno in Europa: la trasformazione democratica. Se tale trasformazione sarà perturbata, o condotta verso un tipo di regime autoritario, per via dell’intelligenza artificiale e dell’avvento delle tecnologie di quarta generazione, ciò sarà anche concausa di una responsabilità di chi formula le politiche, sia esso attore istituzionale o meno, e che dovrebbe non esimersi dall’alto compito – quello sì morale – di rispettare tutelare la democrazia più della sicurezza, poiché sulla prima e non sulla seconda poggia l’interezza del progetto europeo.

È un analista di politiche pubbliche. È laureato magistrale con Lode in Relazioni internazionali presso l’Università degli studi Roma Tre, con Master in Studi diplomatici e Master di II livello in Diritto dell’Unione europea. Dopo aver frequentato il Master di II livello "MIMAP" presso Tor Vergata, è attualmente dottorando in Studi politici presso La Sapienza. Ha altresì studiato e lavorato nei Balcani (Grecia e Romania) e in Belgio. I suoi interessi sono incentrati sulle politiche pubbliche europee e sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché sui temi della protezione internazionale e delle crisi transfrontaliere. Per il Centro Studi AMIStaDeS ricopre il ruolo di analista Flussi migratori. Nei valori della cooperazione e dello scambio ripone tutta la sua vigorosa costruzione personale e professionale."

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