Corea del Nord sempre più affamata di bitcoin, tesoretto di 82 milioni di dollari

Il “nuovo gioco” di Kim Jong-un è stato svelato: il dittatore nordcoreano sta rastrellando da mesi montagne di Bitcoin, la criptovaluta che quest’anno ha registrato un boom decuplicando il proprio valore.

Gli hacker nordcoreani sono riusciti, secondo l’intelligence di Seul, a ‘rubare’ almeno 7.000 dollari in Bitcoin lo scorso febbraio: oggi il valore è arrivato a quasi 83 milioni.
L’attacco di cui si conoscono i dettagli è stato compiuto lo scorso febbraio ma è stato scoperto solo lo scorso luglio, senza che venissero individuate responsabilità. Il network che venne preso di mira è Bithumb, fondato in Corea del Sud – dove è il più importante del Paese – e il quinto al mondo per volume di transazioni. Dopo la violazione, gli hacker hanno chiesto un riscatto di vari milioni alla compagnia per restituire i dati personali dei trader.
Un altro attacco, a settembre, ha preso di mira la piattaforma per le criptovalute, Coinis, mentre un altro è stato sventato lo scorso ottobre. La materia non è soggetta a legislazione in Corea del Sud, e il governo sta cercando di correre ai ripari. Per gli esperti informatici, l’interesse di Pyongyang per le criptovalute risale perlomeno al 2013: all’epoca vennero individuati i primi segnali, ricerche sui forum, tentativi di contatto con alcuni esperti e così via. Ma è dal 2017 che questo ‘interesse’ si è trasformato in una attività di lucro: architrave delle attività nordcoreane sarebbe il gruppo hacker Lazarus, divenuto celebre per l’hacheraggio di Sony, in occasione dell’uscita del film “The Interview”, una commedia sarcastica su Kim.
Lazarus è poi considerato responsabile del maxi furto da 81 milioni di dollari ai danni della Banca centrale del Bangladesh, e soprattutto per aver diffuso in tutto il mondo lo scorso maggio del micidiale WannaCry, il virus che blocca i pc infettati e costringe gli utenti a pagare un riscatto, in Bitcoin, per riavere i propri dati. Proprio a maggio, sottolineano gli esperti di cybersicurezza, da Pyongyang – dove l’accesso a internet è riservato a pochi eletti – sono partiti ordini di acquisto pagati in Bitcoin. E non ci sono solo le criptovalute nel ‘tesoretto’ di Kim Jong-un.
Un ufficio, l’Office 39, studia tecniche per il contrabbando d’oro, la contraffazione di valuta estera o addirittura l’apertura di ristoranti sotto copertura. L’obiettivo è sempre lo stesso: rastrellare denaro evadendo le sanzioni.

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