(Anteprima) Ddl cyber. A sorpresa la maggioranza vota un ‘bando’ alle aziende israeliane


I partiti di maggioranza, nel dare il via libera al disegno di legge sulla Cybersecurity nelle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia alla Camera dei Deputati, hanno votato un emendamento per introdurre la “premialità per l’utilizzo di tecnologia cyber nazionale o europea o NATO”. Di fatto un’esclusione, clamorosa, alle aziende di Israele, tra i Paesi più avanzati nella cybersicurezza.

Nel pieno della guerra (ibrida) in Medio Oriente, la maggioranza nelle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia alla Camera dei Deputati ha votato una sorta di ‘bando’ alle aziende israeliane specializzate in cybersecurity.

Come Cybersecurity Italia può raccontare in anteprima, i partiti di maggioranza questa sera intorno alle ore 18:00, nel dare il via libera al disegno di legge sulla Cybersecurity, hanno votato un emendamento per introdurre nell’articolo 10 “premialità per l’utilizzo di tecnologia cyber italiane o di Paesi appartenenti all’Unione europea o di Paesi aderenti alla NATO”. Di fatto un’esclusione, clamorosa, alle aziende di Israele, tra i Paesi più avanzati nella cybersicurezza. Come si sa Israele non fa parte della NATO.

Nel dettaglio si legge “…nonché i casi in cui, per la tutela della sicurezza nazionale, devono essere previsti criteri di premialità per le proposte o per le offerte che contemplino l’uso di tecnologie di cybersicurezza italiane o di Paesi appartenenti all’Unione europea o di Paesi aderenti alla NATO.

Conseguentemente, al comma 2, aggiungere in fine la seguente lettera: 

d-bis) devono prevedere, al fine di tutelare la sicurezza nazionale, criteri di premialità per le proposte o per le offerte che contemplino l’uso di tecnologie di cybersicurezza italiane o di Paesi appartenenti all’Unione europea o di Paesi aderenti alla NATO al fine di conseguire l’autonomia tecnologica e strategica nell’ambito della cybersicurezza”. 

Non sarebbe meglio indicare Paesi “trusted”?

Ma cosa c’entra la NATO se la finalità è (o meglio era) quella di contribuire al conseguimento dell’autonomia tecnologica e strategica europea e di prevenire il paradossale effetto che, con la crescita del mercato cyber, possano aumentare le forniture di tecnologie straniere esponendo così l’Italia ad un rischio geopolitico?

Al posto di questo “bando” clamoroso, non sarebbe meglio indicare Paesi “trusted” e alle cui aziende cyber attribuire il concetto di premialità?

Se questo emendamento dovesse essere confermato nell’Aula di Montecitorio, dove il testo del disegno di legge è atteso da lunedì 13 maggio per la discussione generale, sarebbe un grande schiaffio alla tanto (solo) decantata sovranità tecnologica e digitale nazionale-europea.

Infine, l’altra beffa che emerge dal testo del ddl finalizzato dalle due Commissioni e votato solo dai partiti di maggioranza – si sono astenuti il Movimento 5 stelle, il Partito democratico, Alleanza Verdi e Sinistra e Italia viva – è l’assenza di fondi dedicati, aggiuntivi, nuovi, per realizzare quanto è previsto del testo in esame. Il disegno di legge, che sta per approdare nell’Aula della Camera dei Deputati, prevede di aumentare le difese cyber dell’Italia a “invarianza finanziaria”. Ossia senza una quota ad hoc. Senza nuovi fondi pubblici per “accompagnare” i tanti nuovi soggetti interessati a conformarsi agli obblighi previsti. 

Se il Governo avesse presentato un disegno di legge sulla sicurezza tradizionale, quella fisica, avremmo sentito dai promotori e letto nel testo “più risorse economiche alle forze dell’Ordine”.

Quello che vale offline, vale anche online.
E quindi anche nel cyberspazio.

Ma manca ancora questa piena cultura della cybersicurezza?

Direttore responsabile, Giornalista

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