L’isola da 10 trilioni di dollari. La guerra tra USA e Cina per Taiwan porterebbe ad una crisi economica globale più grave del Covid

C’è un fattore in particolare che renderebbe una guerra per Taiwan così catastrofica per l’economia mondiale: i semiconduttori.

Esiste un’isola nel mondo al centro di complicate trame geopolitiche. Un’isola con una storia burrascosa, fatta di rivendicazioni nazionali, di lotte politiche e diplomatiche per affermare il proprio status e di tensioni mai sopite con un vicino ingombrante e ostile. È un’isola relativamente piccola – poco più grande della Sicilia – in una regione di mare in cui si affacciano gli interessi delle grandi potenze mondiali, eppure è riuscita a diventare una delle economie più importanti del pianeta.

A gennaio 2024, a ridosso dell’elezione del nuovo Presidente di Taiwan, l’agenzia di stampa Bloomberg ha parlato, nel suo podcast The Big Take e in altri articoli correlati, di un suo studio circa le conseguenze economiche di un eventuale conflitto che possa coinvolgere l’isola.

Nonostante il rischio concreto di un’invasione cinese di Taiwan sia attualmente piuttosto basso (come viene evidenziato negli stessi articoli di Bloomberg, il governo di Pechino non sta ammassando truppe e la situazione politica interna rende improbabile l’avvio di una campagna militare su larga scala), gli anni recenti hanno dimostrato l’assoluta imprevedibilità del futuro, soprattutto nell’ambito della geopolitica e degli equilibri di potere internazionali: basti pensare all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia o allo scoppio della pandemia di COVID-19.

Bloomberg ha ipotizzato due scenari riguardo le future tensioni tra Pechino e Taipei: nel primo caso viene previsto un blocco intorno all’isola tale da impedirne l’approvvigionamento e quindi mirato a colpire principalmente l’economia, mentre la seconda ipotesi riguarda una vera e propria invasione militare di Taiwan.

Un eventuale blocco di Taiwan, e quindi un crollo del commercio, porterebbe ad una contrazione del PIL mondiale del 5%, mentre l’invasione dell’isola e la conseguente guerra avrebbe un effetto sull’economia globale senza precedenti nella storia: -10% del PIL planetario, pari a 10 trilioni di dollari, ovvero diecimila miliardi.

Per rendere l’idea della portata di questi numeri è sufficiente fare un confronto con qualche altro evento recente che ha colpito l’economia mondiale. Gli attentati dell’11 settembre hanno prodotto un -0,6% del PIL mondiale, la Guerra del Golfo del 1991 il -1%, la crisi finanziaria globale iniziata nel 2008 e la pandemia di COVID hanno fatto crollare il PIL globale di circa il 6%.

C’è un fattore in particolare che renderebbe una guerra per Taiwan così catastrofica per l’economia mondiale: i semiconduttori.

L’egemonia di Taiwan nella produzione mondiale di semiconduttori

Praticamente ogni dispositivo elettronico moderno funziona grazie ai semiconduttori, da quelli di uso quotidiano come smartphone e smart TV fino alle automobili, ai sistemi d’arma e ai supercomputer.

L’importanza dei semiconduttori è stata ulteriormente accresciuta dalla pandemia di COVID-19, quando la domanda mondiale di dispositivi elettronici è cresciuta esponenzialmente (soprattutto perché molte aziende si sono dovute riconvertire al lavoro da remoto fornendo ai dipendenti smartphone, PC e connessioni internet più stabili), e poi di nuovo dall’invasione russa dell’Ucraina, il cui conseguente aumento dei prezzi del gas ha spinto molti Paesi a riorientare la propria politica energetica verso soluzioni green e rinnovabili (che, appunto, funzionano grazie ai semiconduttori).

Taiwan oggi è il leader indiscusso nella produzione mondiale di questi dispositivi e le sue aziende dominano il settore. L’esempio più eclatante è la TMSC (Taiwan Semiconductors Manufactoring Co.), società taiwanese che copre da sola la metà del fabbisogno globale.

Come era prevedibile, un settore così strategico per l’economia mondiale è immancabilmente finito al centro delle tensioni geopolitiche tra gli Stati Uniti e la Cina. Da un lato, quindi, c’è il governo di Pechino, storicamente deciso ad annettere l’isola e che continua a perseguire lo scopo anche sotto la guida di Xi Xinping, aumentando gradualmente la tensione nella regione sia attraverso l’incremento delle operazioni quasi militari (dal lancio di palloni aerostatici nei dintorni dello spazio aereo di Taipei alle esercitazioni navali) che mediante macchinazioni politiche e diplomatiche volte a indebolire il riconoscimento internazionale di Taiwan.

L’altro grande attore coinvolto è il governo americano, che considera la sovranità e l’indipendenza di Taiwan una linea rossa che, se oltrepassata, porterebbe allo scontro aperto con la Cina. La tensione nella regione è costantemente aumentata negli ultimi anni, fino a sfociare in una vera e propria guerra commerciale tra Washington e Pechino combattuta a suon di dazi e tariffe doganali.

Cina e Stati Uniti stanno investendo moltissimo per raggiungere i livelli di Taiwan nella produzione di semiconduttori (sia in termini quantitativi che qualitativi, poiché è un settore ad altissima specializzazione e il know-how è indispensabile). Questa rincorsa è necessaria per entrambi. Pechino, riducendo la propria dipendenza dalle esportazioni taiwanesi (di cui è il primo mercato in questo ambito) potrebbe realisticamente pianificare un’operazione di invasione senza temere di rimanere tagliata fuori dalle catene di approvvigionamento globali (alcuni studi di settore hanno persino ipotizzato che in caso di invasione Taiwan o addirittura gli Stati Uniti potrebbero distruggere fisicamente gli impianti di produzione di semiconduttori sull’isola pur di non lasciarli alla Cina).

Washington punta ad una maggiore indipendenza dai semiconduttori taiwanesi sia per soddisfare la domanda interna (la più alta del mondo e solo in minor parte soddisfatta dalla produzione nazionale) che per continuare a mantenere un vantaggio competitivo strategico sulla Cina.

In questo contesto, mentre USA e Cina combattono la Guerra dei chip, la sopravvivenza di Taiwan è legata alla propria capacità di mantenere la leadership in questo settore strategico.

Da sempre appassionato di scrittura, di storia e di mappe, ho conseguito due lauree per poter coniugare questi campi: una triennale in Scienze della Comunicazione e una magistrale in Relazioni Internazionali. La collaborazione con AMIStaDeS ha fatto espandere i miei orizzonti, consentendomi di esplorare settori nuovi e di approfondire le mie vecchie passioni. Negli ultimi anni mi sono dedicato principalmente alla comunicazione applicata alla politica e ai conflitti: dalla propaganda alla deterrenza nucleare al cyberspazio, il campo di battaglia in cui si combattono le guerre digitali.

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