Internet è a prova di bomba? La vulnerabilità del mondo virtuale agli attacchi fisici: i cavi sottomarini

A ottobre 2022 sono stati rilevati danni a cinque cavi sottomarini per la fibra ottica in Europa, tre in Francia e due in Scozia.

Nel 2022 avere una connessione internet sempre attiva e funzionante è una cosa che diamo per scontato, come l’acqua corrente o la luce elettrica. Il web è diventato così pervasivo e onnipresente che spesso neanche ci rendiamo conto di quanto lo utilizziamo.

È una entità impalpabile ma onnipresente, un mondo parallelo ma aderente a quello fisico. E proprio questi due mondi -reale e virtuale- negli ultimi anni hanno iniziato a sovrapporsi sempre di più, sfumando molto la distinzione tra i due: basti pensare al metaverso, alle app per la realtà aumentata o al cosiddetto “Internet delle Cose” (IoT).

Però, a differenza di quanto siamo abituati pensare, Internet non è un’entità eterea e ultraterrena.

La rete che pervade tutto il mondo, dalle grandi metropoli ai luoghi più remoti della terra, è tenuta in vita da un numero relativamente basso di infrastrutture essenziali. Infrastrutture fisiche, ovviamente, come server, datacenter e, soprattutto, cavi.

Dunque, la domanda sorge spontanea: Internet è a prova di bomba (letteralmente)?

I recenti attacchi ai cavi sottomarini in Scozia e in Francia

Attualmente circa il 97% del traffico internet globale passa attraverso 400 cavi sottomarini. Le principali direttrici sono ovviamente le linee transatlantiche tra gli Stati Uniti e l’Europa e le linee transpacifiche che collegano gli Stati Uniti con il Giappone e l’Asia orientale.

A ottobre 2022 sono stati rilevati danni a cinque cavi sottomarini per la fibra ottica in Europa, tre in Francia e due in Scozia.

In particolare, nel caso della Scozia è stato tranciato in due distinti punti il cavo SHEFA-2. Questo è lungo circa 1000 km e parte dal nord della Scozia per collegare l’arcipelago delle isole Orkney, le isole Shetland e infine le isole danesi Far Oer, nell’Atlantico settentrionale.

Come si può vedere dall’immagine, mentre le Far Oer e le Orkney dispongono di cavi alternativi (sulle direttrici Danimarca-Islanda e Scozia-Islanda), le isole Shetland sono connesse alla rete via cavo solo da SHEFA-2.

Di fatto, il danneggiamento al cavo sottomarino ha lasciato gli oltre ventimila abitanti dell’arcipelago delle Shetland quasi interamente sprovvisti di collegamenti internet e telefonici. Il danno -che sembrerebbe essere stato provocato accidentalmente da un peschereccio- è stato riparato in pochi giorni ma ha comunque destato preoccupazione nella comunità internazionale per le sue implicazioni geopolitiche. Non sono infatti mancate le ipotesi -diffuse da diversi media- secondo cui si sarebbe trattato di un’operazione di sabotaggio da parte della Russia o di una sorta di prova generale in vista di un massiccio attacco alle infrastrutture di rete sottomarine che legano le due sponde dell’Atlantico.

Queste teorie hanno trovato una sponda importante nei danneggiamenti subiti da cavi sottomarini francesi negli stessi giorni. In particolare, il danneggiamento di diversi cavi nel Mediterraneo avrebbe provocato rallentamenti nella connessione sulle tratte Marsiglia-Barcellona, Marsiglia-Milano e Marsiglia-Lione.

A differenza di quanto accaduto nel caso delle Shetland, le autorità francesi hanno immediatamente parlato di un atto di sabotaggio, con il Presidente Macron che avrebbe chiesto un maggior controllo sui cavi sottomarini.

In seguito agli eventi delle Shetland e della Francia, la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, ha chiesto che il sistema europeo di cavi sottomarini sia sottoposto a uno stress test per valutarne le capacità.

La cyberwarfare sottomarina

I danneggiamenti del mese scorso hanno riportato in auge il problema della vulnerabilità delle infrastrutture fisiche che soggiacciono al cyberspazio.

Di fatto, una sorveglianza capillare sull’intera rete di cablatura subacquea è pressoché impossibile e le recenti vicende legate al gasdotto Northstream hanno mostrato chiaramente che condurre attacchi e operazioni di sabotaggio contro obiettivi e infrastrutture sottomarine è realisticamente fattibile.

In pratica, l’esistenza stessa delle reti fisiche di cavi rende possibile uno scenario spesso poco considerato quando si parla di cyberwarfare, ovvero la possibilità di colpire un nemico non solamente nel mondo digitale ma anche in quello fisico.

In quest’ultimo caso, infatti, sarebbe sufficiente armare con testate esplosive una piccola flotta di droni sottomarini per far esplodere alcuni punti chiave della rete e paralizzare la rete globale. Un danno molto più consistente e duraturo di qualsiasi hackeraggio.

In caso di danneggiamento di un cavo (o più di uno), infatti, occorrerebbe diverso tempo per il ripristino e nel frattempo si renderebbero necessarie operazioni di reindirizzamento su altre direttrici per poter garantire una continuità operativa almeno per i servizi essenziali.

Questo reindirizzamento, in alcune regioni del mondo, potrebbe portare a rallentamenti significativi della rete o alla saturazione di alcune direttrici, con la conseguente impossibilità a operare per gli utenti.

Si tratterebbe, di fatto, di una cyberwarfare combattuta sotto la superficie del mare.

Da sempre appassionato di scrittura, di storia e di mappe, ho conseguito due lauree per poter coniugare questi campi: una triennale in Scienze della Comunicazione e una magistrale in Relazioni Internazionali. La collaborazione con AMIStaDeS ha fatto espandere i miei orizzonti, consentendomi di esplorare settori nuovi e di approfondire le mie vecchie passioni. Negli ultimi anni mi sono dedicato principalmente alla comunicazione applicata alla politica e ai conflitti: dalla propaganda alla deterrenza nucleare al cyberspazio, il campo di battaglia in cui si combattono le guerre digitali.

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