Cybersecurity e fragilità, cosa non funziona in Italia

Dovremmo riscoprire la serietà, valore che dalle nostre parti si è eclissato da tempo. Grand commis, generaloni e manager di vario genere, che – punti nel vivo – si affrettano a smentire qualsivoglia notizia che possa riguardare la fragilità dei rispettivi sistemi informativi, dovrebbero prendere esempio da Soren Skou, amministratore delegato della Maersk Line.

Immaginando questi illustri signori con l’abito talare di don Abbondio domandarsi chi sia mai il Carneade di questo articolo, mi affretto a spiegare che il signor Skou è l’amministratore delegato della Maersk Line. Il tizio in questione, al vertice di una delle più importanti compagnie di trasporto via container e di logistica nell’industria estrattiva, ha pensato bene di informare gli investitori che il ransomware NotPetya ha causato un danno stimabile in 200-300 milioni di dollari. In un mondo in cui tutti si nascondono dietro un dito, finalmente qualcuno che in totale trasparenza ammette che le proprie misure di sicurezza non sono state all’altezza delle sempre più mutevoli minacce sul fronte tecnologico, che qualcosa non ha funzionato come invece previsto, che qualcuno ha sbagliato.

Il gruppo imprenditoriale Maersk il 28 giugno scorso aveva già comunicato ufficialmente di aver subito un attacco cibernetico e che molti dei suoi sistemi informatici erano paralizzati. A titolo cautelativo erano stati “spenti” gli apparati non ancora contaminati al fine di arginare la propagazione della micidiale infezione virale, mentre il management aveva immediatamente coinvolto i partner informatici e le più qualificate realtà di consulenza per fronteggiare un’emergenza impossibile da non riconoscere. La dichiarazione coram populo dei possibili 300 milioni di mancati introiti causati da questo incidente hi-tech sono una coraggiosa testimonianza di coscienza del problema e di grande responsabilità.

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