L’accordo Nato che fissa l’aumento al 5% del Pil la spesa militare apre nuovi scenari sulla ripartizione degli investimenti in sicurezza, che rappresentano l’1,5% del totale. Cosa rientrerà nel perimetro del budget riservato alla Difesa? Dal Ponte sullo Stretto ai cavi sottomarini, il mercato si interroga.
Il documento conclusivo della conferenza NATO dell’Aia, che si è svolta il 25 e 26 giugno, definisce i nuovi impegni dei Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Entro il 2035 ciascuno Stato dovrà portare la spesa militare al 5% del proprio Pil. Di questo totale, il 3,5% sarà destinato specificamente al riarmo, mentre restano ancora da stabilire nel dettaglio le tipologie di interventi che rientreranno nell’1,5% riservato alle spese collaterali e alla sicurezza in senso ampio.
La ripartizione dell’1,5% per la sicurezza allargata
L’obiettivo rappresenta quasi un raddoppio rispetto al target fissato al 2% nel 2014. Attualmente, l’Italia spende per la Difesa circa l’1,5% del Pil, quindi dovrà imprimere un’accelerazione significativa per allinearsi ai nuovi parametri.
Il restante 1,5% dovrà essere impiegato per attività di protezione delle infrastrutture critiche, difesa delle reti digitali, rafforzamento della resilienza civile, promozione dell’innovazione tecnologica e consolidamento della base industriale della difesa. Gli obiettivi fissati verranno riesaminati tra quattro anni.
L’iniziativa di Trump e le divisioni europee
La decisione di incrementare la spesa è stata sostenuta con forza dal presidente americano Donald Trump e ufficializzata il 25 giugno durante la plenaria alla presenza dei leader dei 32 Paesi membri e di vari partner. Se da un lato gli Stati Uniti sollecitano l’Europa a dotarsi di maggiori capacità di difesa autonoma, dall’altro molti governi europei hanno espresso riserve, con la Spagna in prima linea tra i contrari.
La proposta di Mark Rutte
Per mediare le posizioni, il Segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha avanzato una formula che suddivide il 5% in due componenti: un 3,5% del Pil destinato alle spese militari classiche (armamenti, truppe, equipaggiamenti) e un 1,5% destinato alla sicurezza più ampia. In questo secondo capitolo rientrano la cybersicurezza, la protezione delle infrastrutture critiche e gli investimenti per la mobilità militare.
Questa distinzione segna una svolta rispetto al criterio in vigore dal 1950, che includeva esclusivamente le spese legate alle forze armate e agli equipaggiamenti bellici.
Un tema particolarmente delicato riguarda le infrastrutture critiche, che sono essenziali anche per il funzionamento delle capacità difensive e che generano notevoli interessi in numerosi settori industriali correlati alla Difesa.
Il governo italiano cosa farà?
Da qui si apre un ampio ventaglio di possibilità: che cosa potrà rientrare concretamente in quel 1,5% di spesa? Il Governo italiano ha già chiarito che, ad esempio, il finanziamento del Ponte sullo Stretto di Messina sarà incluso sotto la voce della mobilità militare.
Questo precedente solleva inevitabilmente interrogativi: se il Ponte può essere considerato spesa per la Difesa, cosa si potrà dire degli investimenti in fibra ottica e 5G, infrastrutture critiche a tutti gli effetti? La stessa domanda si applica ai cavi sottomarini che trasportano il 99% del traffico Internet mondiale e che rivestono un ruolo strategico per la sicurezza nazionale.
Le reti satellitari e l’AI nel perimetro della Difesa
Un altro tema cruciale riguarda le reti satellitari alternative a Starlink, indispensabili per le cosiddette reti diplomatiche. Nonostante il ridimensionamento del ruolo di Elon Musk e della sua costellazione Starlink, le esigenze di sicurezza restano. Il finanziamento di un sistema satellitare nazionale o europeo – come la realizzazione del progetto Iris2 – non dovrebbe rientrare tra le spese di questo 1,5%?
Infine, un ulteriore capitolo riguarda l’Intelligenza Artificiale: l’AI applicata alla Difesa non dovrebbe anch’essa poter accedere a finanziamenti mirati?
Resta quindi da definire in modo chiaro il perimetro delle spese ammissibili per quella quota dell’1,5% del Pil destinato alla sicurezza in senso lato, nell’ambito del nuovo tetto del 5% complessivo previsto per la Difesa.