Il caso ‘Paragon’ non conosce confini, visto che nel mirino dello spyware Graphite sarebbe finito anche Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia. Lo spionaggio cyber nei confronti di attivisti politici e giornalisti, con tutte le sue direttrici, non è più solo una questione per tecnici.
Paragon e Dagospia
“Se anche Dagospia è stata spiata e il Governo italiano continua a far finta di nulla, siamo in presenza di un fatto gravissimo. Nelle democrazie non si spiano i giornalisti. Se si spiano i direttori delle testate giornalistiche non è più democrazia. Tutti zitti anche stavolta? E’ una Watergate Italiana“.
Con queste parole – condivise attraverso suoi profili sociali- il Senatore Matteo Renzi ha commentato gli ultimi risvolti del caso ‘Paragon’. Sembrerebbe infatti che sotto stretto controllo ci fosse anche il cellulare di Roberto D’Agostino, fondatore del noto portale che si occupa di rassegna stampa.

Solo pochi giorni fa Luca Casarini, capo-missione della ONG Mediterranea, aveva dichiarato: “Sono bipartisan, democratico, mi faccio spiare da tutti“. La sferzata di Casarini alle opposizioni era in realtà fortemente indirizzata verso l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Questione di limiti
La questione del cyber spionaggio nei confronti di attivisti e giornalisti ha sin da subito avuto delle tinte molto poco chiare. Operazioni simili, anche di fronte alla sicurezza nazionale, dovrebbero in effetti mantenere una parvenza di legalità. Proprio su questo si potrebbe provare a fare luce.
Nel procedimento in atto sono sette “le parti lese” nel procedimento. Per l’appunto, oltre al fondatore di Dagospia, Roberto D’Agostino, anche i giornalisti Eva Vlaardingerbroek, Francesco Cancellato (direttore di Fanpage), Ciro Pellegrino.
Inoltre, la Procura di Roma (quella presso cui D’Agostino ha sporto denuncia), inoltre, ha spiegato che l’accertamento ha riguardato anche i dispositivi degli attivisti. Nel merito Luca Casarini, Giuseppe Caccia e don Mattia Ferrara, attivisti, facenti parte della ONG Mediterranea Saving humans.
Il fascicolo attualmente è contro ignoti, con il capo d’imputazione che è quello per accesso abusivo a sistema informatico e secondo quanto è previsto all’articolo 617 del Codice Penale.
Da parte loro, l’ordine dei giornalisti (OdG) e la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) non si sono costituito solo come parte integrante nel procedimento. Avranno infatti anche la facoltà di nominare dei loro consulenti per ricercare ulteriori elementi.
Contenzioso sulle sospensione
Per quanto i dibattiti sull’impiego dello Spyware siano ormai all’ordine del giorno, non c’è stata chiarezza neanche di fronte alla decisione di rescindere – almeno nominalmente – l’accordo tra le parti. Vale a dire tra l’azienda Paragon e il Governo italiano (dunque sia con l’Aise, i servizi esteri, che l’Aisi, i servizi interni).
Da una parte, infatti, il Copasir aveva spiegato come dopo la sospensione si fosse “addivenuto alla decisione di rescindere comunque il contratto con Paragon“.
La compagnia israeliana, al contrario, aveva voluto a specificare che ad interrompere i suoi rapporti con l’Italia, in primis, sarebbe stata proprio lei. E aveva spiegato: “Alla luce delle recenti conclusioni raggiunte dalla Commissione parlamentare italiana siamo pronti ad assistere in qualsiasi indagine. Il tutto, qualora le autorità italiane ne facciano richiesta ufficiale“.